A Nuraxi Figus, frazione di 583 abitanti del comune di Gonnesa, appena poche case senza nemmeno un bar o una farmacia segnano il panorama altrimenti desolato dell’Alto Sulcis. Alle porte del paese, il cui nome si pronuncia con una “g” dolce (nuraji), si estendono i 30 km di gallerie sotterranee della miniera di Monte Sinni, che si dice debba il suo nome (monte dei segni) ai reperti di epoca nuragica sparsi ovunque per le campagne, dove giacciono in attesa che qualcuno li voglia studiare.
Ma ben altri scavi si sono svolti in questa remota zona del Paese, dalla quale solamente pochi anni fa, nel 2019, sono state estratte le ultime tonnellate di carbone nazionale.
Il tempo nel Sulcis scorre lento: vale anche per l’area industriale di Portovesme, distante appena un paio di chilometri dalla vecchia miniera. Qui gli stabilimenti dell’Eurallumina e dell’ex Alcoa (oggi Sider Alloys) hanno chiuso i battenti tra il 2009 e il 2012 e da allora governi, Regione e sindacati si interrogano su quale sarà il destino del polo industriale. Il rilancio sarebbe dovuto passare dalla riduzione dei costi dell’energia, ripetono da anni i politici. Oggi si invoca il metano.
Ma mentre si formulano nuove promesse quasi a cadenza annuale, gli operai e il territorio sono tenuti in un limbo – una sorta di agonia economica – dai continui interventi assistenzialistici e rinnovi degli ammortizzatori sociali. In altre parole, l’industria passa, ma non va via.
Le ciminiere dell’Eurallumina e dell’ex Alcoa si stagliano sull’orizzonte a ovest di questo speciale osservatorio sul passato e il presente del territorio che è Monte Sinni. Lo sguardo deve però farsi strada attraverso la selva di torri eoliche che affollano l’area compresa tra la Carbosulcis e Portovesme. È l’impianto – uno dei più grandi d’Italia – costruito da Enel Green Power tra il 2010 e il 2011, e cioè proprio quando l’Eurallumina e l’ex Alcoa chiudevano. Una concomitanza che per il Sulcis ha avuto il sapore dell’ennesimo “cambio di destinazione d’uso”: dall’alluminio all’energia verde.
E in effetti si può dire che le torri Enel siano state un’anticipazione in scala ridotta di quanto accade oggi. In quest’angolo del sud ovest della Sardegna – ma a ben vedere questo discorso vale per tutta l’Isola – le richieste di autorizzazione per grandi impianti da fonti rinnovabili si stanno moltiplicando, comprese quelle per gli eolici offshore. Solo a terra si contano 16 parchi, tra fotovoltaici e agrivoltaici, per una superficie pari a 500 campi da calcio, e tre impianti eolici da quattro, sette e undici aerogeneratori. Il tutto nell’agro di appena tre comuni: Gonnesa, Portoscuso e Carbonia.
Se questi progetti venissero approvati, l’Alto Sulcis raggiungerebbe ben 6,6 Gw di potenza (la capacità di uno o più impianti di generare energia, ndr). A conti fatti, poco meno del 10% delle fonti rinnovabili che l’Italia dovrà installare in tutto il Paese entro il 2030 per centrare la riduzione delle emissioni stabilita dall’Unione europea nell’ambito del pacchetto Fit For 55. Tutto in un fazzoletto di terra.
Ma proprio le mire di multinazionali e piccole srl hanno innescato la reazione della popolazione, che si è unita in sit-in, dibattiti e proteste, fino a creare un comitato di opposizione all’invasione green. «Lo sviluppo del territorio non sarebbe potuto passare dalle bellezze naturali e archeologiche che offre?», si chiedono, immersi come sono tra progetti e richieste per la realizzazione di nuovi impianti che quotidianamente spuntano sui portali del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase) e della Regione Sardegna.
I 6,6 Gw contro cui si batte il comitato sulcitano fanno parte di un “pacchetto” ben più consistente da 56 Gw, potenza a cui ammontano complessivamente i progetti che interessano l’isola. Certo, non tutti vedranno la luce, anche perché ci sono dei limiti all’energia che la rete può gestire. Tuttavia, per quanto si tratti di una cifra letteralmente fuori scala, il gestore della rete di trasmissione nazionale non manca di stimolare il mercato e programmare nuove infrastrutture per il trasporto dell’energia. Non è dato sapere dove possa portare questo gioco al rialzo tra Terna e le società energetiche fatto di numeri, potenze e Twh (grandezza che esprime l’energia prodotta, ndr)
Intanto, però, si sa che tutto è iniziato nel 2021 con la presentazione del Tyrrhenian Link, il nuovo elettrodotto con cui Terna collegherà il sud della Sardegna alla Sicilia oggi definitivamente approvato. Le richieste di autorizzazione sono in aumento da allora. Il nuovo cavo, va ricordato, si aggiunge ai due già esistenti, impiegati essenzialmente per esportare energia verso la penisola. Vale a dire il Sacoi (che collega il nord Sardegna alla Toscana via Corsica), di cui è peraltro previsto il potenziamento, e il Sapei (che raggiunge il Lazio da Porto Torres).
Seguendo il filo degli eventi, si arriva così al luglio del 2023, quando l’esecutivo Meloni presenta il decreto Aree idonee (non ancora approvato), che attribuisce alle regioni italiane le quote di potenza da fonti rinnovabili da installare (in aggiunta a quelle esistenti) entro il 2030. In vista dell’arrivo del Tyrrhenian Link, il governo ha assegnato all’isola una potenza di 6,2 Gw. Sembrano pochi rispetto ai 56 Gw e – fatto curioso – sono anche meno della potenza che si cerca di installare nel Sulcis, ma si tratta di un valore che finirà per rafforzare il ruolo di esportatrice di energia già assunto della Sardegna.
In ogni caso, proprio perché le richieste sono tante, Terna è disposta a mettere sul piatto sempre più investimenti per rafforzare sia le reti interne sia i cavidotti che la collegano al resto del Paese. È il piano per imbrigliare il sole e il vento e rendere la Sardegna un hub che «scoppia di energia». E il Sulcis ci è finito dentro.
I "testardi"
Giancarlo Ballisai, 67 anni e due importanti baffi grigi è cresciuto con la zappa in mano, come tutti i suoi coetanei di Nuraxi Figus. Ha vissuto gran parte della sua vità lontano dalla Sardegna, ma le terre di famiglia stanno ancora lì, nei pressi della zona industriale di Portovesme. Al suo rientro in paese ha però scoperto che è altamente sconsigliato coltivarle. Nel 2014 scatta infatti un’ordinanza che vieta a cittadini e imprenditori agricoli di distribuire e commercializzare il vino, la frutta e gli ortaggi coltivati nell’area a causa della presenza di piombo, cadmio e fluoro. È l’impatto dell’industria pesante, che Ballisai ha conosciuto a malapena. Prima la leva militare, l’università e una vita a Torino, dove per quarant’anni ha fatto lo psicologo, poi il ritorno nella sua terra natìa.
«Da anziano non mi sentivo più al sicuro in una grande città, per questo sono tornato alla ricerca di un posto sereno dove passare la pensione» spiega Giancarlo: «Chi l’avrebbe detto che avrei dovuto continuare a difendermi anche a casa mia?». Motivatore e animatore con un passato da giovane attivista, Giancarlo è il protagonista di una lotta che coinvolge i proprietari di campi e pascoli del Sulcis, che Terna e una compagine di società private intendono espropriare. Gli impianti da fonti rinnovabili previsti nel territorio si portano dietro chilometri di cavidotti, infrastrutture e stazioni elettriche, necessarie all’immissione dell’energia prodotta dalle società private nella rete nazionale.
Tra le casse di frutta e i fiaschi di vino autoprodotto, nel garage di Giancarlo svetta un trespolo di legno costruito incrociando assi e chiodi, sul quale sono disposti in modo certosino fogli e fotografie di pale eoliche, pannelli fotovoltaici e tralicci dell’alta tensione. Uniscono i punti diagrammi e linee segnati a mano con un evidenziatore giallo: sono le strade del paese, che scorrono lungo tutta la lavagna, con i campi coltivati tutto intorno, che verranno espropriati per fare spazio a tralicci e caserme di cemento. «Questa è la mappa dei progetti che vogliono realizzare qui intorno», spiega l’attivista: «Purtroppo è solo una piccola parte, non ho ancora avuto il tempo di costruire una lavagna più grande».
Dal salotto di casa sua, dove sono esposti ricordi e foto di una vita di viaggi per il mondo, Giancarlo indica un capanno appena fuori dalla finestra, sul quale sono installati due pannelli fotovoltaici: «Saranno almeno dieci anni che alimento casa mia con l’energia solare», spiega: «Non siamo degli ignoranti che si oppongono a tutto, ma è davvero necessario appropriarsi di terre coltivate per fare questa transizione energetica?».
L'hub dell'energia
L’hub energetico viene presentato al grande pubblico il 14 maggio del 2022 dall’ex ministra per il Sud dell’esecutivo Draghi, Mara Carfagna. L’occasione, il primo Forum del Mediterraneo organizzato dal think tank Ambrosetti, è quella giusta. Il progetto chiarissimo: trasformare il meridione e le due isole maggiori, terre di sole e vento, in una piattaforma per la produzione di energia verde da inviare al nord del paese, dove i consumi energetici sono maggiori.
La risposta del mercato, già in fibrillazione dopo l’avvio del procedimento autorizzativo del Tyrrhenian link, non si fa attendere. E, soprattutto, supera ogni aspettativa. Tanto che oggi in Sardegna si contano oltre 700 richieste di connessione per nuovi impianti, pari alla potenza di 56 gw vista in precedenza. La presentazione di Terna in Senato di febbraio 2024 rivela ulteriori dettagli dell’invasione: le richieste di connessione sull’isola sono aumentate del 638,9 per cento rispetto a quanto previsto dagli scenari di transizione per la Sardegna segnati dal pacchetto europeo Fit for 55. In buona compagnia con la Sicilia (+684,4%) e la Calabria (+713,2%). L’incremento complessivo di tutto il nord e centro Italia è del 389%.
Sono numeri da fantascienza: la rete sarda non è in grado di reggere un simile carico.
La risposta di Terna non si è fatta attendere e a inizio 2023 ha varato un ennesimo pacchetto d’infrastrutture per inviare l’energia dal sud al nord Italia. Senza dubbio, si tratta del programma più ambizioso mai concepito dal gestore. Il nome, Hypergrid (Iper rete) sta lì a testimoniarlo: in tutto 11 miliardi di investimenti per 10 interventi lungo tutto lo Stivale da completare entro il 2040. Non ne è esclusa la Sardegna, dove Terna prevede di ammodernare la linea ad alta tensione Selargius – Codrongianos, che attraversa Nuraxi Figus, e realizzare un altro elettrodotto ancora: è il Sapei 2, cavo sottomarino che da Fiumesanto (Porto Torres) raggiungerà Montalto di Castro, centro costiero a nord di Roma, e che si aggiunge alla fitta rete di connessioni elettriche nel Mar Tirreno.
L’obiettivo è quello di collegare le due infrastrutture al nuovo elettrodotto Montalto – Milano, al fine di integrare l’energia verde proveniente dai nuovi impianti previsti in Sardegna e nell’Italia meridionale, precisa il nuovo piano di sviluppo Terna.
È questa la via italiana per ridurre le emissioni del sistema energetico e raggiungere gli obiettivi europei del Fit For 55. In pratica, il necessario quanto titanico compito di decarbonizzare il sistema energetico italiano viene scaricato principalmente su alcune aree di sacrificio. A queste condizioni, «la transizione energetica si trasforma in un rullo», sostiene Giancarlo, mentre ci guida tra i terreni su cui dovrebbero sorgere gli impianti e la stazione elettrica a cui si oppone.
L'elettrificazione della campagna
Nonostante il freddo inusuale, fuori dalla Casa del Popolo di Carbonia decine di persone provenienti da tutto il Sulcis si affrettano a finire la sigaretta prima di entrare al caldo. Un volontario del centro culturale passa da ogni capannello distribuendo piccoli posacenere di plastica e raccomandando che non vengano buttati per terra i mozziconi. All’interno, Giancarlo Ballisai dà gli ultimi ritocchi alle slide, mentre su un monitor scorrono le foto di enormi eliche installate su pali alti centinaia di metri e imponenti onde di specchi blu, che come una coperta si stendono sui prati erbosi.
Con lui ci sono Venanzio Melis e Armando Meloni, tutti e tre promotori del Comitato Nuraxino – così si fanno chiamare, pur avendo costituito l’associazione Adiquas con la quale danno ufficialità alle osservazioni inviate al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica nel tentativo di contrastare i futuri impianti da fonti rinnovabili. Nell’ultimo paio d’anni il comitato ha organizzato decine di incontri per sensibilizzare e coinvolgere la popolazione. Ancora una volta il tema centrale, come sempre ribadito, è che una transizione energetica è sì necessaria, ma non se a guidarla è una pianificazione coloniale e un mercato speculativo.
Sulla carta la potenza complessiva di tutti i progetti nel Sulcis (i 6,6 Gw visti in precedenza) equivarrebbe a quella necessaria ad alimentare i consumi annui di una metropoli come Milano. Proprio il capoluogo lombardo, come previsto dalla nuova rete Hypergrid su cui punta Terna, sarà l’arrivo finale della boucle dell’energia che partirà dal sud ovest della Sardegna. A questo serve una nuova stazione di collegamento: una sorta di corsia di accelerazione che permette all’elettrone – prodotto dalle società private – di immettersi nell’autostrada nazionale dell’energia. È qui che convergono gli impianti fotovoltaici di Gonnesa, Carbonia e Portoscuso.
Insieme agli elettroni corrono gli espropri, che si estendono anche all’area in cui sorgerà la nuova stazione. Tradotto: centinaia di particelle che fuori dalle mappe del catasto corrispondono a pascoli, uliveti e pezzi di giardini privati.
Qui però crescono ulivi, angurie e favette. A farci da guida sono sempre i tre promotori del Comitato nuraxino. In particolare Venanzio e Armando ci conducono nei loro terreni, alle porte del paese, dove è prevista la realizzazione delle infrastrutture di connessione alla rete nazionale.
«Non abbiamo mai ricevuto alcuna comunicazione ufficiale», spiega Venanzio: «Ma abbiamo scoperto che eravamo coinvolti nel progetto quando siamo stati contattati per l’acquisto delle nostre proprietà», riferisce l’allevatore. «Il messaggio consegnatomi tra le righe era che tanto mi sarebbero state portate via con gli espropri».
Nonostante le offerte aumentassero, Venanzio e Armando non hanno ceduto alle pressioni. Il vantaggio di acquistare i terreni per le società consisterebbe – spiega un esperto del settore a Indip – nella riduzione dei tempi per gli espropri: «Dal punto di vista degli affari, conviene pagare meglio un terreno e procedere all’esproprio in un tempo più breve, piuttosto che lottare contro persone che organizzano proteste e sit-in». Esattamente quello che Giancarlo, Venanzio e Armando stanno facendo da alcuni anni.
«Nessuno di noi pensa che l’energia pulita non vada prodotta, ma il mio campo serve soprattutto ai bisogni della mia famiglia, permettendoci di integrare il modesto reddito di pensioni insufficienti», spiega ancora Venanzio.
Il problema, tengono a precisare gli attivisti, non si limita ai singoli pezzi di terra a rischio esproprio, quanto al fatto che il rafforzamento dell’intera infrastruttura attirerà ancora più progetti e richieste di allaccio alla rete: «Ci opponiamo perché vediamo in prospettiva anche cosa succederà domani – spiega Giancarlo – quando ci saranno talmente tanti impianti che dovremo lasciare la nostra terra e andare a vivere altrove».
È questa la ragione per cui nemmeno lui, a fronte di numerosi tentativi di acquistare un terreno che non può coltivare in quanto più vicino alle terre inquinate delle industrie di Portovesme, si è comunque sempre opposto: «Non mi dite che sono contrario per partito preso – tiene a precisare – il punto è che il mio terreno è tra quelli da cui avrebbero voluto far passare i tralicci che finiranno per spianare la strada verso i paesi del Sulcis, preferisco rinunciare a quei soldi piuttosto che rendermi complice», spiega.
Come in un colpo di scena cinematografico, mentre parliamo, Venanzio si sporge verso il suo campo, dal quale raccoglie un’anguria in pieno dicembre. La taglia e ne offre uno spicchio a tutti. È il riscaldamento globale, che colpisce in primis gli agricoltori. Un paradosso, se si pensa che oggi la soluzione debba passare dal togliere loro la terra.
Switch Sardinia
Il Sulcis, come altre zone d’Italia, convive con ciò che resta dei disastri ambientali passati. Gli impatti ambientali e sanitari dell’attività industriale e di quella mineraria stanno lì a ricordarlo. Il carbone in particolare è rimasto un tratto costante della storia del Sulcis. A Portovesme è infatti ancora attiva la centrale Enel intitolata al premio Nobel Grazia Deledda.
Andrebbe spenta entro il 2025, ma la decarbonizzazione della Sardegna (che prevede anche la chiusura della centrale a carbone di Fiumesanto, a Porto Torres) procede a rilento. Dal governo Gentiloni in poi, la soluzione individuata per raggiungere l’obiettivo è il Tyrrhenian link. Ma alla luce dei 6,2 Gw da fonti rinnovabili attribuiti alla Sardegna dal governo Meloni, la nuova infrastruttura assume un ruolo inedito: venduto come una soluzione per spegnere le centrali a carbone sarde, il Tyrrhenian link verrà invece utilizzato esclusivamente in chiave di export nei periodi in cui eolico e fotovoltaico sono più produttivi.
A fare i conti per Indip è un esperto del settore che preferisce non essere citato. Decide di utilizzare i dati più conservativi, cioè i 6,2 Gw attribuiti alla Regione dal governo, a cui aggiunge i circa 2,2 Gw di potenza da fonti rinnovabili – equamente suddivisa tra eolico e fotovoltaico – già presenti sull’isola. Non ci si deve però limitare a una semplice somma (8,4 Gw): è infatti irrealistico pensare che tutti gli impianti producano al massimo delle loro possibilità nello stesso momento.
In altre parole, per avere un’idea più precisa del picco della produzione bisogna ridurre gli 8,4 Gw del 30%. Si arriva così a 5,9 Gw. L’altra variabile di cui tenere conto sono i consumi isolani, il cui picco massimo pesa per 1,5 Gw. Ne restano 4,5 Gw da piazzare, secondo il principio per cui in rete la potenza generata deve essere sempre uguale alla potenza assorbita, istante per istante. Certo, si useranno gli accumuli elettrochimici, spiega l’esperto, e infatti da qui a pochi anni ne sono previsti fino a 1,8 Gw. Ne restano 2,7: uno sarà appannaggio della Sicilia, proprio tramite il Tyrrhenian link, 450 Mw di Corsica e Toscana (è il caso del Sacoi 3), e infine uno a favore del Lazio attraverso il Sapei, che dal 2011 invia oltre Tirreno una quantità di energia pari alla metà del fabbisogno sardo.
In pratica è come se agli elettrodotti venisse affidato il compito di evacuare verso l’esterno gli elettroni in eccesso prodotti in Sardegna.
Contattato da Indip, il direttore del Tyrrhenian Lab (il master che Terna ha attivato nell’Università di Cagliari), Fabrizio Pilo, afferma che i 6,2 Gw di nuova potenza assegnata dal governo rappresentano la quantità necessaria per mandare in pensione le vecchie centrali a carbone ed elettrificare i consumi isolani.
In altre parole, sottolinea l’importanza del ruolo della domanda interna della Sardegna. In soldoni, se l’isola non consuma l’energia prodotta, il cavo verrà utilizzato per l’export. Questo – continua – non vuol dire che non ci sarà import dalla Sicilia. Il ragionamento è che in un futuro sistema energetico basato sulle rinnovabili bisogna fare i conti con diversi fattori: ad esempio, con la loro intermittenza. Se non c’è sole o vento, i pannelli e le pale eoliche non producono energia. Non solo, la producibilità delle fonti rinnovabili varia anche in base ai periodi dell’anno. L’infrastruttura, conclude Pilo, è flessibile, e pertanto verrà orientata dall’andamento di queste oscillazioni.
Le due variabili con cui occorre fare i conti sono dunque la potenza da installare in Sardegna e la domanda interna: se la prima aumenta e la seconda diminuisce, il sistema tende sempre più all’export. Per quanto riguarda la potenza, si deve registrare come negli ultimi anni gli scenari elaborati da Terna siano stati continuamente rivisti al rialzo. E oggi prevedono che si installino in Sardegna 7,4 Gw di nuovi impianti da fonti rinnovabili, e cioè ben 1,2 Gw rispetto ai 6,2 del governo, che per il momento sta fermo e guarda le evoluzioni del mercato, lasciando a quest’ultimo l’iniziativa.
L’altra variabile, come detto, è la domanda interna di energia. In Sardegna è in diminuzione, afferma un esperto contatto da Indip. Il tema dei consumi ci riporta dritti al Sulcis e al polo industriale di Portovesme. L’Eurallumina, l’azienda più energivora della filiera dell’alluminio non prevede, infatti, l’utilizzo dell’energia prodotta dai parchi eolici e fotovoltaici che sorgeranno nell’agro e in mare. Il progetto di rilancio approvato a luglio 2023 è infatti incentrato sulla realizzazione di una centrale di cogenerazione dell’energia elettrica e del vapore. L’azienda provvederà dunque in maniera autonoma ai propri consumi, anche così aumentano le quote di energia destinate all’export.
Espropri
Tra tutti i documenti allegati alle richieste di autorizzazione, uno dei più minuti è il Piano particellare descrittivo, che in appena due pagine riassume la logica seguita per riconoscere i diritti dei proprietari e i ristori che spettano loro. È questo documento a mettere un prezzo ai terreni soggetti a esproprio: sono 0,18 centesimi di euro al metro quadro per i pascoli cespugliati, 0,30 per i pascoli, 0,53 per il seminativo e 1,50 euro per i vigneti. Il tutto senza contare le aree di cantierizzazione, ovvero quelle deputate alle esigenze strettamente legate ai lavori «per soddisfare le esigenze di cantiere», si legge nel documento.
Occorre precisare che non tutte le particelle riportate sono interessate dall’esproprio: alcune ospiteranno i tralicci, per i quali viene riconosciuto il diritto di sorvolo «di carattere perpetuo», che comprende il libero accesso senza alcun vincolo per le attività di manutenzione e senza obbligo di preavviso.
Piantati al prezzo medio di sei euro l’uno, quando ancora erano alti appena 40 centimetri, oggi gli ulivi di Venanzio cadenzano il terreno sabbioso dove in appena un paio d’anni hanno raggiunto i due metri di altezza e danno frutti succosi. Un risultato raggiunto con anni di fatica e investimenti per rendere il campo irriguo, grazie a pozzi e tubi.
Ma la ragion di stato prevede un piano diverso e investimenti di ben altra scala: il solo progetto di due campi fotovoltaici che verranno costruiti intorno a Nuraxi Figus e relative opere di connessione (tra cui la sottostazione che sorgerà nel campo di Venanzio) costerà alle imprese che lo realizzano 19,5 milioni di euro (Iva inclusa) e avrà una potenza di 33 megawatt.
Indip ha chiesto a un imprenditore del settore di studiare i conti e fare una stima del ritorno sull’investimento: secondo questa (parziale) analisi, al prezzo corrente di circa 100 euro per megawatt/ora, con una previsione di 41 gigawatt/ora prodotti nei primi dodici mesi e tenuto conto delle spese di gestione, il progetto produrrà un guadagno di oltre quattro milioni di euro l’anno. Nell’arco di cinque anni, spiega l’esperto, il progetto dovrebbe essersi ampiamente ripagato.
Le offerte per l’acquisto preventivo dei terreni, come appreso da Indip dai proprietari della zona, non avrebbero inciso quasi per niente nei costi del progetto, andavano infatti dai 60 ai 120 mila euro, una frazione minima di investimenti e guadagni previsti.
Tutte cose che i membri dei comitati e i tanti che oggi in Sardegna denunciano l’invasione energetica colgono. I sulcitani, poi, che possono vantare decenni di discussioni sulle sorti del vicino polo industriale di Portovesme – dove l’energia ha sempre fatto il bello e il cattivo tempo – ci arrivano subito. Ecco perché si oppongono agli impianti in fase autorizzativa e all’infrastrutturazione del territorio (stazione e cavidotti). Capiscono che sono troppi, che cioè son finiti capo e piedi dentro un disegno fuori scala tutto appannaggio dei consumi di terzi.
La creazione di vere e proprie aree di sacrificio apparirà ad alcuni come un prezzo accettabile da pagare. «Ma non possiamo accettare in silenzio questa sorte», risponde Venanzio: «Se a fronte di questo progetto avessimo percepito un riconoscimento economico, o l’opportunità per la nostra gente di essere assunta, avremo quantomeno garantita la possibilità di vivere a casa nostra e in modo dignitoso – ma qui il progetto è di speculare facendo milioni di euro sulle nostre terre, costringendoci a vivere del poco che abbiamo una volta che ci vengono tolti i frutti del nostro lavoro».