Il buco nero delle carceri sarde
tra suicidi e cure negate

Le carceri sarde sono un paradosso. Sull’isola resistono tre delle quattro ex colonie penali agricole ancora attive in Italia. Attualmente risultano semivuote, mentre la maggior parte dei detenuti si trova in penitenziari sovraffollati. Dal carcere di Uta arrivano i dati più preoccupanti: nel corso del 2025 la struttura registra il numero più alto di suicidi tra i detenuti italiani. In dieci anni, risulta anche il penitenziario nel quale sono avvenuti più tentativi di suicidio. A livello regionale, tutti i ristretti segnalano l’impossibilità di accedere alle cure mediche all’interno del carcere e spesso anche nelle strutture esterne. La carenza di personale sanitario è un boomerang per la popolazione carceraria, visto che una quota importante di persone è sottoposta a terapia psichiatrica o presenta patologie croniche. Inoltre, la maggior parte dei detenuti non sono sardi, la quota di stranieri è pari al 25% mentre il 30% della popolazione carceraria proviene da altre regioni. Il massiccio trasferimento di detenuti nell’isola peggiora ulteriormente le condizioni di detenzione, oltre a mettere in discussione diritti basilari come ricevere le visite dai familiari. Il sistema penitenziario sardo non ha perso la sua funzione punitiva e per la riabilitazione della persona c’è ancora molto da fare