Un progetto coprodotto da IrpiMedia e dalla testata sarda d’inchiesta Indip, che svela la decennale presenza della ‘ndrangheta in Sardegna, diventata un polo strategico per gli affari delle cosche
Per anni si è creduto che la Sardegna godesse di una speciale immunità nei confronti della criminalità organizzata, in particolare la ‘ndrangheta, che da Sud a Nord Italia ha intensificato traffici e affari rafforzando una posizione rilevantissima nel crimine internazionale.
Eppure proprio sull’isola, negli ultimi venticinque anni, le cosche della Locride hanno coltivato rapporti privilegiati, stretto mani e contribuito a stabilire un asse del narcotraffico tra i più efficaci e preziosi. Marijuana in cambio di cocaina, soldi in cambio di armi, legami familiari in cambio di lealtà incondizionata.
Così la criminalità sarda è diventata «un mercato nel quale entrare, con la propria organizzazione e struttura logistica, per la vendita di sostanze stupefacenti e dove espandere i propri commerci illeciti, sia individuando nuovi canali di smercio sia iniziando ad effettuare importazioni di rilevanti quantitativi, creando quindi una nuova “rete” di affari”», scriveva la Direzione investigativa antimafia in una relazione al Parlamento del 2021.
Ma neppure i sardi si sono accorti della presenza della ‘ndrangheta in Sardegna. La vulgata è che «non chiederesti mai il pizzo a un sardo», come si suole ripetere dalla Barbagia al Campidano quando se ne parla. E difatti non è questo il caso. La ‘ndrangheta sull’isola arriva su invito e qui si sente a casa, per assonanza d’intenti e radici.
Un’alleanza criminale ormai solidissima che unisce due mondi del crimine molto diversi eppure legati da un filo, quello di venire da regioni poverissime in cui la pastorizia è spesso l’unica attività possibile e in cui, fortissimo, si sente un vuoto: l’assenza dello Stato.
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Lorenzo Bodrero
Claudio Capellini